Nel ricco panorama della cucina tradizionale salentina, le Rape ‘nfucate rappresentano un autentico piatto povero, ma dal sapore straordinario.
Questa deliziosa preparazione di verdure è un elemento imprescindibile sulle tavole dei salentini, che le gustano come contorno per piatti a base di carne o come farcitura per panini.
Scopriamo insieme l’origine e il segreto dietro il nome di questa prelibatezza culinaria.
Le Origini e il Significato del Nome “Rape ‘nfucate"
Il nome “Rape ‘nfucate" deriva dalla tecnica di preparazione di questo piatto. Le cime di rapa vengono “nfucate", ovvero stufate lentamente fino a raggiungere una consistenza morbida e succulenta. È proprio in questa fase di cottura che le rape assorbono il sapore intenso del peperoncino, che conferisce loro un carattere unico e indimenticabile. Spesso, per arricchire ulteriormente il gusto, si aggiungono foglie di alloro, che donano un tocco aromatico e raffinato alla preparazione.
Il Segreto della Ricetta delle Rape ‘nfucate
La bellezza delle Rape ‘nfucate risiede nella loro semplicità. Gli ingredienti di base – le cime di rapa, il peperoncino e l’alloro – sono comuni e facilmente reperibili. È proprio la combinazione di questi elementi, unita a una lenta cottura che permette ai sapori di amalgamarsi perfettamente, che rende questo piatto così speciale. Le Rape ‘nfucate sono un esempio perfetto di come la cucina salentina sappia trasformare ingredienti umili in autentiche delizie per il palato.
Un Inno alla Semplicità e alla Sapore della Cucina Salentina
Le Rape ‘nfucate sono un vero e proprio inno alla semplicità e alla genuinità della cucina salentina. Questo piatto, nato dalle tradizioni contadine, rappresenta un esempio tangibile di come la creatività e l’ingegno possano trasformare ingredienti di base in prelibatezze culinarie. Ogni morso di questo piatto è un viaggio nei sapori autentici della Puglia, che conquista il palato e l’anima di chiunque le assaggi.
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In conclusione, le Rape ‘nfucate sono un vero tesoro della cucina salentina, che incarna l’essenza stessa della tradizione e della semplicità.
Questo piatto, dal nome suggestivo e dal sapore irresistibile, è un omaggio alla ricchezza dei sapori della Puglia e un invito a scoprire le meraviglie di una cucina autentica e genuina.
Vi lascio la ricetta!
INGREDIENTI
- 2 kg di cime di rapa;
- 2 spicchi d’aglio;
- olio extravergine di oliva;
- peperoncino;
- q.b sale;
- 3-4 foglie di alloro (facoltativo);
- qualche pomodorino.
PREPARAZIONE
- Pulite per bene le cime di rapa facendo attenzione a conservare foglie e infiorescenze, ovvero le parti più tenere e saporite, eliminando gli steli fibrosi.
A questo punto lavatele e lasciatele in ammollo in acqua fredda.
- In una padella bella grande versate l’olio, i due spicchi d’aglio schiacciati, il peperoncino tritato, 3-4 foglie di alloro e qualche pomodorini tagliato a metà.
- Fate appena soffriggere a fiamma media e versate subito le cime di rapa, mezzo bicchiere d’acqua e una manciata di sale.
- Coprite le cime di rapa con un coperchio e dopo circa venti minuti di cottura, mescolate ed assaggiate per valutare se occorre aggiungere altro sale e altra acqua.
- E’ importante che le cime di rapa affoghino nell’acqua, che non deve evaporare affinché l’ortaggio mantenga il suo sapore leggermente amaro. E’ importante quindi cuocere con il coperchio.
- La cottura completa dovrebbe avvenire dopo circa 35 minuti di cottura.
- Quando le cime di rapa risulteranno tenere e l’acqua si sarà completamente assorbita, aggiungete ancora un filo d’olio e servitele calde con pane casareccio.
Scusate ma io non metto il pomodoro, al posto dell’aglio ci metto lo “spunzale”. E difficile che aggiunga acqua perché dopo averle ben lavate non le faccio sgocciolare completamente in modo tale che l’acqua la rilascino loro stesse e poi sfumo appena si sono ammaccate un po’ con un bicchiere di vino bianco dal quale a farò evaporare tutto l’alcool. E continuo a far cuoce finché non saranno cotte stando attento che non si asciughi del tutto e che non si scaldino troppo i cuori o “infiorescenze” che dir si voglia
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